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Lo sviluppo delle macchine per caffè

L’origine dell’invenzione


Dicevamo che fu Angelo Moriondo a brevettare la prima macchina per il caffè e presentarla all’Expo di Torino il 16 maggio 1884. Il brevetto venne poi venduto a Desiderio Pavoni che lo cedette ad Achille Gaggia.

Nel 1900, le caffettiere tradizionali furono sostituite dalle macchine a vapore nei bar. Tuttavia, questo nuovo metodo aveva i suoi inconvenienti: il caffè risultava spesso troppo amaro, bruciato dal vapore, e la pressione e la temperatura non erano ottimali. Achille Gaggia, nel tentativo di migliorare il processo di estrazione, iniziò una sperimentazione continua nel bar di famiglia.


Achille nel 1931 iniziò a lavorare nel bar di famiglia, che portava il suo nome, a Milano. Affascinato dal mondo del caffè e già sensibile al marketing, decise di rielaborare la macchina per ottenere strumenti sempre più performanti, più veloci e che producessero un caffè sempre più gradito al pubblico. Egli riuscì a gestire l'intero processo mediante il quale l'acqua calda sotto pressione passava attraverso il caffè macinato.

Grazie a questo procedimento soprannominato “a torchio” (il sistema Lampo), si controllava con precisione la riuscita del caffè e il risultato era diverso rispetto a quello ottenibile con il vapore delle macchine “a colonna”.


I brevetti di casa Gaggia


Il 5 settembre 1938 deposita il brevetto n. 365726 che, rilasciato il 12.12.1938, rivoluzionò definitivamente il modo di estrarre il caffè. Il Brevetto presentava come novità il “Rubinetto a stantuffo per macchine per produrre istantaneamente infusi in genere (per esempio caffè tè camomilla e simili)”.

Nello stesso anno Gaggia fonda la ”Brevetti Gaggia GA” e dà inizio alla promozione del gruppo erogatore da lui brevettato. Da questa registrazione inizia non solo la storia unica di un marchio rappresentativo dell'eccellenza italiana, ma anche un imprescindibile modo di assaporare il caffè, l'espresso con crema naturale, che non ha precedenti.


La Moka: l’innovazione di Augusto Bialetti


Sarà nel 1933 che un altro piemontese, Augusto Bialetti, nato a Crusinallo di Omegna. una piccola frazione sul Lago d’Orta (VB), l'inventò un aggeggio in alluminio, destinato a rivoluzionare ogni casa italiana: la Moka. A partire dalla scelta del materiale, l’alluminio, che aveva imparato a conoscere quando, emigrato in Francia, lavorava come fonditore in una fabbrica di alluminio.

L'intuizione gli arrivò dalla macchina che si usava al tempo per lavare i panni: la “lasciveuse”, un pentolone dotato di un tubo con la parte superiore forata, in cui si mettevano i capi da lavare insieme alla lasciva (il sapone per il bucato dell’epoca).

Nella parte centrale si trovava un tubo con la superficie forata da cui l’acqua, portata ad ebollizione, usciva per sciogliere il detersivo, creando movimento tra i panni.

Bialetti sostituì i panni e la lisciva con la polvere di caffè.

Ed il resto è storia.

L’alluminio leggero ed ottimo conduttore di calore, accorcia i tempi di bollitura dell’acqua velocizzando il processo di estrazione del caffè dai chicchi macinati.

Inutile ricordare la rivoluzione che ha fatto questa mente brillante: il caffè espresso era monopolio delle caffetterie, che fungevano anche da torrefazioni; con l’avvento della moka, chiunque poteva farsi il caffè comodamente in casa, prima di uscire per andare al lavoro.

Alfonso Bialetti, dal 1936 al 1940 produce 10mila caffettiere all’anno che va a vendere nelle fiere e nei mercati. Con la seconda guerra mondiale però, tutto si ferma; l’alluminio serve all’industria bellica e la guerra cambia ogni cosa.


L’avvio della produzione industriale


Fu dopo la fine del conflitto che il figlio Renato, tornato dal campo di prigionia in Germania, decise di riavviare i macchinari ormai fermi.

Negli anni 50 del ‘900 Renato mise in piedi una nuova fabbrica proprio a Crusinallo, da cui tutto ebbe inizio, capace di produrre 18mila caffettiere al giorno, ovvero 4 milioni all’anno.

Lo stabilimento venne chiuso nel 2010.

Nel 1953 Renato pensando al padre, disegna “l'omino coi baffi” simbolo iconico del brand, riconosciuto in tutto il mondo.

L’ambizione e la lungimiranza del figlio Renato poi, traghettò il nome per i decenni a venire, rendendo la loro caffettiera un simbolo dell’Italianità nel mondo, tanto da finire esposto addirittura al MoMa di New York.

Il suo nome deriva proprio dalla città dello Yemen che si pensi abbia dato i natali alla bevanda, Moka appunto.



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